Questo criptico titolo può essere interpretato solo da cilentani ed affini ovvero avvezzi a lingue italomeridionali in genere.
Nell'avvicinarsi della scadenza (che brutta parola) di pagamento dell'iniquo balzello denominato IMU, è il caso di ricordare la sua vera funzione che, dal punto di vista matematico, non può essere certo quella di sanare le casse di uno Stato così sprecone.
Gli effetti reali di tassazioni in genere e di quelle selvagge come questa sono stati a loro tempo perfettamente sviscerati da Paolo Franceschetti nel suo blog.
Riporto integralmente il suo lucido articolo.

A cosa servono le tasse, e in particolare
l’IMU.
Una cosa che nessuno dice mai riguardo
alle tasse, è che esse non servono a far entrare denaro nelle casse dello stato,
ma ad altri scopi, di cui abbiamo parlato in articoli precedenti sulla crisi
finanziaria.
Voglio però soffermarmi nuovamente su questo argomento
perché è fondamentale per capire il sistema in cui viviamo e gli scopi di chi ci
governa.
Risulterà quindi chiaro dopo questo articolo anche a cosa serve
l’IMU.
Tutte le fonti ufficiali (mass media,
politici, ma anche testi di economia e di scienza delle finanze, nonché diritto
tributario) sostengono che le tasse servono a far avere soldi allo stato, che
verranno poi tramutati in servizi pubblici ai cittadini (strade, scuole,
ospedali, ecc.).
Questo errore concettuale di fondo, ad esempio, non solo
la si trova in qualsiasi manuale di diritto tributario per le università, ma
anche su wikipedia alla voce “tasse”, dove non esiste neanche l’ombra di una
voce contraria.
Appare quindi logico ai più, quando lo stato è in crisi,
che la soluzione inevitabile (oltre a quella del taglio alle spese) sia quella
di un aumento della tassazione per reperire nuovi fondi.
In realtà questa
mossa non solo è sbagliata, ma produce effetti talvolta completamente opposti
rispetto al risultato che – si dice a parole – vuole essere
ottenuto.
Facciamo un esempio. Non c’è bisogno di un genio per capire che
un aumento delle tasse del 2 per cento non produce affatto un aumento delle
entrate nelle casse dello stato di pari importo. L’unico effetto che viene
realmente prodotto invece è quello di una contrazione dei consumi del 2 per
cento; l’aumento reale delle entrate statali, invece, si aggira attorno allo
0,01 per cento, perché va ad incidere esclusivamente sui capitali immobilizzati
e non su quelli in circolazione.
Un altro esempio preciserà meglio il
concetto introdotto.
Se al dipendente pubblico che guadagna 1000 euro
lordi la pressione fiscale aumenta dal 30 al 33 per cento, il dipendente invece
di 700 euro ne incasserà 670; tale somma è così bassa che costui sarà costretto
a ridurre i consumi. Quelle 30 euro finiranno direttamente nelle tasche dello
stato, e non verranno spese in consumi vari.
Ma se tali soldi fossero
stati spesi in beni di consumo, sarebbero comunque finiti nelle tasche dello
stato, sia pure per via indiretta; infatti sarebbero andati ad un commerciante
(ad esempio al pizzaiolo) che su quelle trenta euro avrebbe pagato circa il 50
per cento di tasse (quindi 15 euro); con le rimanenti 15 euro il pizzaiolo
avrebbe acquistato altri beni, su cui sarebbero state ugualmente pagate tasse, e
cosi via all’infinito.
Facciamo un altro esempio. Se io spendo 1000 euro
di benzina, circa 750 vanno direttamente in tasse. Le altre 250 vanno al
benzinaio, che ne darà circa la metà allo stato, sempre in tasse. Con le
restanti 125 il benzinaio comprerà dei beni (cibo, un motorino, libri per la
scuola dei figli); questi beni saranno il guadagno di altri imprenditori che
pagheranno a loro volta tasse, che compreranno a loro volta beni, in un circuito
infinito.
In pratica tutto il denaro in circolazione va sempre, prima o
poi, allo stato. Il modo migliore per aumentare le entrate statali, quindi, non
è quello di aumentare l’IVA o le tasse, ma quello di incrementare i consumi, e
colpire il mercato nero.
L’unico denaro che non finisce prima o poi nelle
casse dello stato è quello che il cittadino riesce a immobilizzare e mettere da
parte; quindi un aumento del prelievo fiscale sulle classi più deboli non ha
alcun senso, perché non produce un aumento delle entrate statali ma unicamente
un decremento dei consumi (penalizzando sia il cittadino sia
l’imprenditore).
L’aumento delle tasse ha senso solo se viene applicato
alle classi agiate, quelle che riescono a mettere da parte soldi in
banca.
In qualunque caso, in ogni sistema fiscale degno di questo nome,
esiste una fascia protetta esente da tasse, che è quella dei redditi minimi,
perché è un principio ovvio che non ha senso far pagare le tasse a chi guadagna
poche centinaia di euro al mese, dato che i guadagni della classi povere
finiscono tutti in consumi (e quindi vanno allo stato) e non si traducono in
risparmi.
Da noi, fino a qualche anno fa, erano esenti le fasce di
reddito più basse. Da qualche anno invece il prelievo fiscale opera anche su chi
ha redditi di poche centinaia di euro al mese, perché il reale motivo è
distruggere psicologicamente il cittadino e piegarne la volontà.
Non a
caso i sistemi fiscali più intelligenti (come quello canadese, bulgaro o
australiano, per fare qualche esempio) non solo hanno aliquote basse (spesso
l’aliquota massima è il 35) ma prevedono sgravi fiscali per chi investe; in
alcuni paesi infatti l’utile delle imprese non è tassato se l’imprenditore
reinveste i guadagni in ulteriori attività produttive. Il motivo è molto
semplice: se l’imprenditore anziché accumulare soldi li reinveste, quei soldi
andranno prima o poi allo stato.
Ad esempio, se Tizio ha guadagnato un
milione di euro, darà il 30 per cento al fisco. Se invece quel milione lo
investe nuovamente non viene tassato. Perché? Perché con quel milione verranno
acquistati macchinari, capannoni, pagati stipendi; i macchinari faranno
guadagnare imprenditori che pagheranno le tasse allo stato, i capannoni idem,
gli stipendi verranno spesi dai dipendenti in beni di consumo. In sostanza, se
lo stato decide di tassare quel milione di euro di utili, il risultato sarà che
nelle sue casse andranno solo 300 mila euro; se quel milione non viene tassato,
ma reinvestito, nelle casse statali andrà probabilmente quasi tutta la somma
reinvestita.
In conclusione, in molti casi per lo stato è più conveniente
non tassare piuttosto che tassare. Senza arrivare agli eccessi di paesi come
Bermuda, dove non esiste tassa sul reddito, o Tonga, dove fino a qualche anno fa
c’era un’imposta sul reddito del 2 per cento, ci sono esempi di sistemi fiscali
che riescono a sopravvivere meglio del nostro, avendo un prelievo fiscale che si
aggira attorno al 20 per cento di media; e in alcuni casi, come accade nel
Wyoming, possono non esistere tasse sul reddito ma solo imposte
indirette.
In Italia invece le tasse assumono connotazione che sfiorano
il ridicolo; l’imposta di registro, ad esempio, che per i terreni è addirittura
del 17 per cento (quindi si paga circa il 20 per cento se ci si sommano le
imposte ipotecarie, catastali, e spese notarili) è un balzello immorale. Fino a
qualche anno fa avevamo addirittura la tassa sugli accendini, e fino all’avvento
del governo Berlusconi i commercianti di prodotti alimentari avevano addirittura
una… tassa sui frigoriferi (sic!).
In altre parole, dal punto di vista
fiscale fino a qualche anno fa eravamo considerati il peggiore paese del mondo,
una vera barzelletta per gli stranieri. Successivamente le regole dell’Unione
Europea hanno eliminato alcune tasse prive di logica, come l’IVA al 40 per cento
sulle auto di lusso, ma di fondo siamo uno dei paesi peggiori del mondo da
questo punto di vista.
Le tasse quindi - perlomeno quelle di un sistema
demenziale come quello italiano - servono unicamente a tenere i cittadini in
condizioni di sudditanza, per non permettere che questi abbiano tempo per
pensare, evolvere, fare attività politica, informarsi. I cittadini devono
sgobbare a testa bassa sei giorni su sette, per poi correre trafelati al
supermercato il sabato sera e permettersi al massimo una domenica di svago, dove
tutto potranno fare tranne che evolvere.
Il discorso vale anche per gli
imprenditori, che sebbene godano di agi materiali talvolta superiori a quelli
dei dipendenti, spesso lavorano febbrilmente anche la domenica pur di far
funzionare i loro lussuosi imperi, complicatissimi da gestire a causa delle
centinaia di balzelli, controlli, normative, pastoie, ostacoli, posti dalla
burocrazia.
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Le reali funzioni
dell’IMU.
A questo punto è facile capire a cosa
serve la recente IMU sugli immobili posta a carico di imprese e
famiglie.
Scopo del governo attuale è sfasciare l’Italia definitivamente,
e questo è ben chiaro a tutti.
Ma perché proprio con l’IMU?
Il
motivo è presto detto.
Occorre tenere presente che le imprese hanno
margini di utili abbastanza ridotti. Un grande magazzino, ad esempio, pur avendo
incassi stratosferici, di milioni di euro al giorno, ha al contempo anche costi
altrettanto stratosferici (dipendenti, luce, acqua, tasse varie, a cui deve
aggiungersi il costo vivo delle merce deperibile che spesso viene buttata e il
costo della merce invenduta).
Un’impresa che abbia un margine di utile
netto all’anno, rispetto ai capitali investiti, del 10 per cento, può essere
considerata florida.
Molte aziende anche di grosse dimensioni, hanno però
margini di utili netti che si aggirano attorno al 2 per cento e anche
meno.
Molte imprese agricole, da qualche anno, possono dirsi fortunate se
raggiungono il pareggio del bilancio.
Questo discorso era valido fino a
qualche anno fa.
Da quando è iniziata la crisi economica molte imprese
hanno ridotto i loro margini di guadagno, hanno iniziato a licenziare personale,
a tagliare le spese, e in alcuni casi gli imprenditori hanno iniettato liquidità
in aziende in passivo per tentare di stare a galla (in altre parole hanno
attinto dai loro risparmi personali per risollevare il bilancio aziendale in
perdita).
Molti imprenditori hanno vari immobili in affitto e vivono con
le rendite immobiliari.
Ora la tipologia della media impresa italiana è
questa: l’imprenditore ha una o più aziende principali e una o più aziende
secondarie; negli anni ha comprato immobili (parte li tiene sfitti per la
famiglia, parte li ha riaffittati); in alcuni casi ha trasferito il capannone
dal vecchio stabile (che ha dato in affitto) ad uno più grande.
In questo
momento di crisi la maggior parte degli imprenditori ha problemi di
liquidità.
Molti affittuari non pagano più l’affitto; molti smetteranno
presto di pagarlo.
In altre parole l’IMU sottrae liquidità agli
imprenditori, che non potranno utilizzare tali soldi per reinvestire; e in
alcuni casi, alcuni si troveranno in difficoltà perché non avranno i liquidi
sufficienti per affrontare l’esborso imprevisto.
Il paradosso è che molti
imprenditori dovranno pagare l’IMU su immobili da cui non percepiscono più alcun
canone di locazione proprio a causa della crisi economica; oltre al danno anche
la beffa quindi. Poco tempo fa un imprenditore mi diceva che doveva pagare l’IMU
sull’immobile dato in locazione all’ufficio di collocamento, che però non paga
l’affitto da mesi; ma il paradosso è quello di un imprenditore a cui non viene
pagato l’affitto da circa un anno, per un immobile locato addirittura alla
Guardia di Finanza; in compenso l’IMU per un immobile di quelle dimensioni
ammonta a decine di migliaia di euro; in sostanza, il proprietario si ritrova a
sborsare decine di migliaia di euro di IMU, senza avere una corrispondente
entrata come guadagno.
Stesso discorso, con le dovute varianti, vale per
le famiglie.
In linea generale la famiglia media italiana è proprietaria
della casa in cui vive, e se ha più figli spende quasi tutto quello che guadagna
in spese scolastiche, vacanze, vitto ecc.
L’IMU serve quindi ad
accelerare la crisi. A sottrarre liquidità alle famiglie e alle imprese, per
accelerare lo sfascio.
Quei pochi imprenditori che avevano da parte dei
liquidi e riuscivano a non vivere contando sui prestiti bancari, saranno
costretti a mettere mano ai loro liquidi per pagare l’IMU sui loro immobili, in
questo periodo spesso improduttivi per insolvenza
dell’affittuario.
Quelli che non hanno liquidi saranno costretti a
vendere qualche immobile (il che significa, in un periodo di crisi, che c’è il
rischio che non riescano a vendere alcunché) oppure a chiedere un ulteriore
prestito alle banche, indebitandosi ancor di più.
Nelle casse dello stato
entreranno probabilmente meno soldi di prima, accelerando il caos e accellerando
quell’effetto domino che porterà tutta l’economia italiana al collasso totale
nei prossimi mesi. Ordo ab chao.

Nota: nella vignetta tratta da Marche Rosse si accenna al pagamento della tassa in tre rate.
In realtà è stata prevista la possibilità di pagare anche in due ma molti, soprattutto i meno abbienti, credendo che fosse più conveniente, hanno preferito il maggior frazionamento.
Fregatura nella fregatura!
Chi ha pagato in tal modo ha in realtà anticipato allo Stato una maggior somma di denaro prima del saldo finale stabilito per il 17 dicembre!