venerdì 2 dicembre 2016

La pratica del meccanico autoriparatore


La figura professionale del meccanico autoriparatore va scomparendo come quella del medico generico, sostituite entrambe da una classificazione sempre più assortita di specialisti magari capacissimi e competenti nel loro campo d'azione - o almeno ci si aspetta che lo siano - ma spesso del tutto impreparati negli altri campi.
Un elettrauto moderno non sarà capace di risolvere un problema di assetto così come un neurologo un problema ortopedico, ed il paragone mi sembra azzeccato.
Però va detto che se la limitazione del meccanico può trovare giustificazione nella crescente complessità dei veicoli, i medici specialisti non hanno alcuna scusa di ignorare le altre funzionalità del corpo umano che, per quanto complesso, è esattamente uguale a quello che riuscivano a curare i medici
cosiddetti "generici" fino a pochi decenni fa.
I superstiti meccanici "generici", i liberi professionisti delle auto, vivono oggi una condizione di perenne sfida con le peculiarità originali che contraddistinguono le vetture delle diverse marche.
La quasi totalità delle Case infatti, oggi prevede l'utilizzo di attrezzi specifici per l'esecuzione di determinate procedure, senza i quali è molto difficile o addirittura impossibile provvedere, e gran parte di loro utilizza per i propri veicoli viterie dalla conformazione inconsueta, diversa dal classico esagono, che costringono l'operatore a munirsi di (costose) serie di chiavi dei più svariati tipi.
Se una volta esistevano solo le teste ad esagono e le viti a taglio ed i meccanici erano costretti a dotarsi di misure particolari solo se operavano su veicoli inglesi o americani utilizzanti viterie a misurazione imperiale invece che metrica, col tempo sono comparse (con la scusa della "antimanomissione" da parte di personale non autorizzato o specializzato ma più che altro non dotato della chiave adatta..) teste incassate a croce (Phillips; Pozidriv; la cervellotica Torq-Set), incassi stellari di diverso tipo (Torx; Polydrive; XZN; Bristol) usati anche in esecuzione a rilievo. Insomma una condizione che rende parzialmente valido il detto che l'attrezzo giusto rende mezzi mastri...

A complicare le cose, la compattazione delle carrozzerie ha portato ad avere la meccanica relegata in spazi sempre più angusti ed inaccessibili che costringono a smontare un numero incredibile di componenti anche solo per eseguire operazioni di routine come la sostituzione di una lampadina.
Recentemente, per eseguire due interventi tutto sommato futili come il ripristino della continuità di due cavetti al quadro e lo smontaggi/rimontaggio dei carburatori, su di una moto finto-enduro di una ventina di anni fa sono stato costretto a rimuovere decine di viti, staffe e plasticame vario, serbatoio compreso. Nel corso delle operazioni, ho rimpianto più volte l'esecuzione elementare delle moto della mia gioventù per le quali se si doveva smontare il quadro non si aveva che... da smontarlo perché lo si trovava sotto mano, il serbatoio quasi sempre si poteva togliere senza l'ausilio di attrezzi (in tal caso era fissato con una molla rimovibile a mano) o al massimo svitando una o due viti, ed i carburatori erano accessibili senza smontare altri componenti. Sulle stradali più vecchie non venivano montati neanche i filtri aria.

Struttura del grafene
La complessità è progresso? No di certo, se mai in alcuni casi è vero il contrario ovvero che il progresso può portare (non necessariamente) alla complessità. Ad esempio, materiali avanzati, precedentemente non disponibili, possono rendere superfluo l'accoppiamento meccanico di più componenti in un complessivo.
Dipende solo dalla filosofia costruttiva che si adotta, scelta che si esegue ormai principalmente su base economica e solo secondariamente in base ad altri parametri.

Quello che è certo è che la complessità di un veicolo può far perdere di vista la dinamica di base del suo funzionamento. Nel senso che può dare luogo a malfunzionamenti di dubbia interpretazione, costringendo l'autoriparatore moderno a formulare diagnosi differenziali a parità di sintomi, pratica comune nella diagnostica medica.
Prima dell'avvento dell'elettronica, ogni malfunzionamento era causato da guasti facilmente individuabili ed i vari "sintomi" non erano sovrapponibili tra "patologie" diverse.

Teoria e pratica secondo Einstein
Al giorno d'oggi non c'è praticone d'officina che tenga: per avere un'idea reale delle dinamiche veicolari è necessaria una solida base teorica da mettere ovviamente in pratica al più presto, in modo da verificare e fissare nella mente i concetti. Una volta acquisita una professionalità di base, acclarata e certificata da enti competenti, essa potrà essere vantaggiosamente completata da un'esperienza lavorativa che andrà a sveltire e razionalizzare le procedure operative.

Tuttavia, una carenza che riscontro spesso in tecnici anche molto qualificati ma che operino al di fuori degli ambienti sportivi, è l'incapacità di inquadrare e saper risolvere problemi relativi al comportamento del veicolo su strada cioè all'assetto, ivi comprese le problematiche dipendenti dagli pneumatici che sono a tutti gli effetti componenti delle sospensioni ed anche se non li si vuole definire così, di sicuro ne condizionano la risposta dinamica.

Questo è un sapere che molto spesso si acquisisce dalla pratica diretta: è molto raro infatti sentire di corsi dedicati alla formazione professionale di un... tecnico dell'assetto!
E la pratica diretta è quasi impossibile sperimentarla lavorando su veicoli circolanti in strada ed appartenenti a terzi. Infatti, in tal caso, per ogni modifica eseguita, bisogna fidarsi di quello che ci racconta l'utente per capire qual'è l'effetto che ha sortito, al di là della teoria.
Per inciso, ciò è valido perfino per quanto riguarda la messa a punto "di fino": una volta il proprietario di uno scooter automatico che avevo elaborato mi fece scervellare perché sosteneva che in accelerazione faceva "troppo rumore".
Alla fine capii - anzi forse lo capì un mio dipendente più sveglio di me - che lui intendeva dire che prendeva "troppi" (secondo lui) giri in accelerazione ovvero - per chi è pratico di sistemi di variazione continua del rapporto - aveva le masse del variatore troppo leggere!
Tornando all'assetto dei veicoli a 4 ruote ed ai suoi misteri tramandati solo nell'ambito di una ristretta élite legata alle corse, credo che all'atto pratico - anche nell'ottica di velocizzare l'apprendimento - non esista migliore scuola del karting. Intendo ovviamente quello da competizione o quanto meno sportivo.
E non del karting da sperimentare solo come meccanico ma anche da pilota!

Evoluto kart della Honda Racing (HPD)
Chi non è passato dal karting infatti, tende a sottovalutare queste monoposto minimali considerandole dei meri "pezzi di ferro" condizionati nel loro comportamento dinamico solo dalle caratteristiche delle gomme.
Ma non è così.
Nei kart da competizione (molto più limitatamente in quelli da noleggio) è possibile intervenire su diversi parametri per variare l'assetto e quindi il loro comportamento dinamico. Tali veicoli, sia per l'esigua massa che per l'assenza di sospensioni vere e proprie, estremizzano e rendono molto evidente il risultato di ogni micrometrica modifica di assetto in termini di guidabilità, maneggevolezza, tenuta su diversi tipi di fondi, comportamento tendenziale (sovrasterzante, neutro, sottosterzante), motricità e frenata.
Sotto quest'ultimo aspetto, va detto che i kart monomarcia prevedono la frenatura del solo asse posteriore mentre quelli dotati di cambio sono frenati anche davanti, con la possibilità, quasi sempre, di poter ripartire il dosaggio della frenata tra avantreno e retrotreno: una variabile che, nelle vetture stradali di serie, era gestita una volta in maniera molto grezza dai limitatori di frenata al retrotreno, integrati oggi nella logica funzionale dei sistemi ABS.

Oltre a questa possibilità, nei kart si può intervenire sull'assetto nei seguenti modi, ovviamente a parità di pneumatici utilizzati:
- variando la pressione delle gomme, inutile commentarne gli effetti.
- variando la larghezza delle carreggiate (davanti: interponendo in genere degli spessori, dietro: spostando il punto di fissaggio delle ruote sull'asse). La variazione delle carreggiate influisce molto sulla tendenza inerziale del mezzo (ma non solo) ed il trasferimento dei carichi in curva che può tornare utile esaltare o meno a seconda dell'aderenza offerta dal fondo stradale.
- in alcuni telai, vincolando più o meno strutture aggiuntive al telaio base ovvero tubi strutturali che corrono paralleli ad altri e/o profili paraurti laterali: questi elementi incidono sulla rigidità del telaio.
- spesso è possibile variare l'altezza di fissaggio dell'asse posteriore ma anche dell'anteriore. A questa variazione, si aggiunge la possibilità di spostare verticalmente il fissaggio del sedile. Va ricordato che in un kart la massa del pilota può rappresentare anche oltre la metà del peso complessivo del veicolo e quindi il suo diverso posizionamento può sortire effetti significativi sull'assetto complessivo. Sul bagnato, ad esempio, tornano utili assetti "alti" che permettono di caricare maggiormente le ruote esterne alla curva, allontanando il rischio di acquaplaning.
- convergenza, parallelismo o divergenza delle ruote anteriori, possono essere utilizzate per modificare il comportamento del mezzo. Ad esempio, sull'asciutto si ottengono in genere i migliori risultati con le ruote regolate perfettamente parallele mentre sul bagnato può risultare più efficace adottare una certa divergenza.
- nei telai più sofisticati, esattamente come nelle auto più sportive, si può intervenire anche sulla campanatura delle ruote anteriori.
- limitatamente, è anche possibile influenzare la distribuzione delle masse tra gli assi a seconda del punto di fissaggio del motore, che può essere influenzato dalla lunghezza della catena di trasmissione, una volta stabiliti i rapporti finali da utilizzare. Ovviamente, sarebbe possibile influenzarla anche spostando in senso longitudinale il fissaggio del sedile del pilota però c'è poco margine sul quale intervenire. Tuttavia, è spesso possibile spostare il posizionamento delle pedaliere e del volante, oltre che marginalmente del sedile, ma in genere su questi parametri si agisce solo in base alla statura e quindi all'ergonomia ottimale per ogni singolo pilota.

Trasferimento dei carichi in curva
Tutte queste variabili, di cui è possibile riscontrare immediatamente e di persona l'effetto dinamico, costituiscono una scuola di apprendimento accelerato per quanto riguarda i comportamenti su strada (ed ancor più in pista!) di qualsiasi veicolo a 4 ruote.
Dico sempre che un paio di giorni trascorsi a lavorare e provare di persona l'assetto di un kart (almeno uno con pista asciutta ed uno con pista bagnata!) possono insegnare più che due anni trascorsi a lavorare OGNI GIORNO sulle auto di clienti insoddisfatti del comportamento del proprio veicoli!
Provare per credere. Una metodica auto-didattica che prevederei obbligatoria per qualunque meccanico che voglia completare e saggiare la propria professionalità per quanto riguarda gli assetti.
Ovvio che, trasferendo queste acquisizioni sulle auto, vanno integrate da un'approfondita conoscenza della dinamica relativa alle sospensioni vere e proprie (sistemi elastici ed ammortizzatori) e di altre possibilità di intervento praticamente sconosciute al karting (ad es.: campanatura posteriore, effetto dell'aerodinamica e delle superfici deportanti alle alte velocità, variazione nella misura degli pneumatici, ecc.).

Quello che voglio dire in buona sostanza con questo articolo, è che i kart costituiscono la quintessenza e l'ossatura concettuale stessa su cui si sviluppa il concetto automobilistico, non una loro mera riduzione ai minimi termini. Quello che sostengo è confermato dal riscontro statistico che la stragrande maggioranza dei migliori piloti di formula o automobilistici di velocità ed anche una cospicua fetta di tecnici di settore si sono formati alla scuola del karting, ambito in cui l'Italia è stata sempre - come in molti altri campi - la nazione di riferimento per tutte le altre.
Un altro motivo per cui, visto che la scadenza è incombente, non dobbiamo sottometterla definitivamente all'Europa accettando di far passare le scellerate riforme costituzionali contemplate nel quesito referendario del 4 dicembre.