Arrangiatore, cantante e chitarrista di indubbio talento, Pino Daniele col suo blues metropol-napoletano-italo-americano (in pratica la fusione fredda di 4 elementi...) ha cantato una Napoli moderna e multiculturale (nonché evidente zerbino e discarica statunitense) nella maniera più emblematica.
Dov'è l'inganno? Per un appassionato di musica è evidente: Pino Daniele col blues ha avuto a che fare poco più di quanto non abbia avuto a che fare Elvis Presley con la canzone napoletana.
Non posso quindi affermare che il pur grande Pino non abbia avuto assolutamente nulla a che fare col blues, perché alla fine almeno un paio delle sue piacevolissime canzoncelle della prima ora seguono i canoni del blues ma quello che continuo a non accettare è che egli stesso ed i media che l'hanno supportato hanno continuato ad ingannare il suo pubblico musicalmente meno acculturato spacciando per blues (per quanto rivisto alla napoletana) musica già più che codificata come fusion, appunto, un genere d'autore, per quanto di facile ascolto, che negli States riuscì a mettere d'accordo sia estimatori del melodico che del jazz-rock.
Molti sono stati gli artisti che prima di lui si sono espressi secondo i canoni (abbastanza liberali) della musica fusion ma nessuno aveva mai avuto il coraggio nonché la faccia tosta di spacciarla per blues!
Oops! Mi accorgo in questo momento che al posto di una sua foto ne ho inserito una dell'artista americano Gino Vannelli punto di riferimento della musica fusion degli anni '80: si tratta sicuramente di un mio errore freudiano, in quanto soprattutto nel suo primo periodo di attività ho ritenuto l'artista napoletano nient'altro che un bravissimo clone (anche più bravo dell'originale, perché no?) del suo omologo americano, assolutamente identico nelle sonorità più o meno come Nec lo è rispetto a Sting e Zucchero lo è stato rispetto a Joe Cocker del quale ha imitato perfino le movenze spastiche... ma si sa: è difficile che un artista italiano, per quanto bravo, esprima qualcosa di assolutamente originale.
Pochissimi sono stati coloro che ci sono riusciti.
Ecco, rimedio subito inserendo una foto del vero Pino: come è possibile apprezzare, anche la somiglianza fisica tra i due artisti è impressionante.
Non ci posso fare niente col fatto che il buon Pino abbia attinto a piene mani dal repertorio di Gino (Gino & Pino: anche nel nome un'assonanza): l'importante è che i posteri se lo ricordino ed i suoi estimatori lo tengano presente.
Sottolineo il fatto che per me ha poca importanza constatare che per arrivare al successo Pino Daniele abbia adattato la musica di Gino Vannelli alla sua visione anglonapoletana, anzi glie lo ascrivo come merito perché continuo a sostenere che è stato molto bravo ed ha prodotto alla fine cose molto piacevoli da ascoltare.
Da ragazzo sono anche stato ad un suo concerto e ne conservo un buon ricordo, anche se conoscevo bene le opere di Gino Vannelli e quindi non potevo subire l'inganno.
Ad ulteriore discarico della colpa che ho ascritto a Pino (l'inganno del blues) devo anche sottolineare che ad un certo punto della sua carriera, esaurito il filone Vannelli, Pino ha smesso di ispirarsi a lui.
Infatti ha continuato la sua carriera copiando Santana.