venerdì 3 gennaio 2014

Come investire all'estero altri 1750 milioni di dollari italiani

Va bene che il gruppo FIAT è ormai da molti anni una holding internazionale e non più una mera Fabbrica Italiana Automobili Torino ma molti italiani, quelli che scelgono prodotti del marchio immaginando di far bene al Paese, sono ancora convinti che si tratti di un'industria "nazionale" anzi quasi statale, visto che d'industrie automobilistiche statali non ne abbiamo più.
La verità invece è quasi all'opposto: la FIAT degli inizi '900 è diventata in molto meno di un secolo pressoché monopolista della produzione automotiva nazionale fagocitando marchi come Autobianchi, Ferrari, Lancia, OM e perfino Alfa Romeo che era uno dei gioielli di Stato svenduti al peggior offerente; e questo succedeva ancor prima che la cricca capeggiata da Romano - poco romano ma molto inglese - Prodi desse l'avvio alla distruzione sistematica e poi alla svendita delle industrie nazionali.
 
I "meriti" del marchio (ex)torinese consisterebbero nell'aver "motorizzato l'Italia" soprattutto a livello popolare invadendo il mercato con vere trappole a basso costo come la 600 del '55 e la "Nuova 500" del '57 - che almeno risultavano di facile manutenzione e alla fine di lunga durata - e poi con "auto-di-carta" tra cui prima tra tutte la famigerata Uno, vera insostituibile fonte di lavoro per meccanici, carrozzieri, ricambisti, ortopedici e becchini nonché malviventi, vista la sua grande diffusione e conseguente facile dissimulazione.
 
Altro grande segno di rispetto verso la nazione natìa, è stato negli anni la delocalizzazione di impianti produttivi in Paesi come Brasile e Polonia, la progettazione e vendita d'impianti produttivi ai sovietici nostri formali nemici ai tempi della guerra fredda (ma gli affari non si fermano davanti a cortine) e mi voglio fermare al settore auto, visto che la FIAT, direttamente o attraverso a sue consociate, progetta e produce ben più che sole auto e non solo nel settore civile... . 
Nel frattempo si cedevano quote azionarie del gruppo in giro per il mondo tra cui alla Libia di Gheddafi, quando il grande Capo di Stato non era ancora (del tutto) inviso all'Occidente, ed in misura considerevole: quasi il 16%.
Chi si ricorda ormai che per una decina d'anni - mi pare dal '76 all'86 la FIAT è stata in parte libica prima di diventare (ancor più che libica) americana con una partecipazione di oltre il 18%?
 
Non vado oltre ma vorrei evitare di asserire (altre?) sciocchezze perché m'intendo molto poco di economia&finanza ma quello che ho scritto finora è sufficientemente vero per costruire un contesto in cui inserire un'industria ritenuta o comunque considerata da molti a torto come "nazionale" e di conseguenza degna di aiuti da parte dei cittadini quando le cose le vanno male. Peccato che quando le vanno bene essa non distribuisca i dividendi tra i contribuenti o almeno restituisca loro il maltolto.
L'ultima manovra, l'acquisizione del resto del pacchetto azionario Chrysler (dal 58,5 già detenuto al 100%), al di là di qualsiasi considerazione e prospettiva economica, permette di esportare negli USA un'ulteriore enorme cifra per poi, col pretesto della (falsa) ecologia, invadere l'America di insulse macchinette azionate ancora, nel XXI secolo, di concettualmente obsoleti - per quanto evoluti - motori alimentati a combustibili fossili.
 
Del resto, le prospettive di vendere ancora auto sul mercato interno sono ben poche: sia perché siamo già il primo Paese al mondo quanto ad auto immatricolate o circolanti per cittadino, sia perché gran parte dei risparmi con cui numerosi di essi avrebbero pensato di acquistarne ancora un'altra o sostituire la vecchia, sono saldamente ed irrevocabilmente in mano alle banche.