giovedì 20 dicembre 2012

Circolazione - Un paio di norme in meno: sugli pneumatici da neve per le auto e sull'ABS per le moto


Montare (catene omologate)

Roma, 19 dicembre - Salta la norma che imponeva l'uso dei pneumatici termici al di fuori dei centri abitati in caso di neve. Lo prevede l'emendamento dei relatori alla legge di stabilità approvato dalla commissione Bilancio del Senato che ha abrogato la norma del dl sviluppo. Sono state finalmente abrogate le norme che obbligavano gli automobilisti italiani all'uso esclusivo di pneumatici invernali, in caso di nevicate, e che mettevano fuori legge catene e altri sistemi omologati.[...]

Salta anche l'obbligo per le case produttrici di inserire l'ABS sulle moto. Il D.L. stabiliva che le case produttrici di moto avrebbero dovuto garantire l'offerta su tutti i veicoli di nuova immatricolazione a due o tre ruote e di cilindrata pari o superiore a 125 centimetri cubi, di sistemi di sicurezza e di frenata avanzati, vale a dire l'ABS.

(AGI)

 
Con l'occasione, è utile ricordare che in base alla circolare ministeriale 33/A/2/41655/1/2 del 14 maggio 2003, non è sanzionabile l'utilizzo di catene da neve non omologate.
Tuttavia, rimane comunque a discrezione delle Forze di Polizia la possibilità di vietare il transito ai veicoli non equipaggiati con i dispositivi (omologati) eventualmente previsti dai gestori delle strade.
 
articolo già pubblicato su heymotard.it 

sabato 15 dicembre 2012

IMU **** loro

Questo criptico titolo può essere interpretato solo da cilentani ed affini ovvero avvezzi a lingue italomeridionali in genere.

Nell'avvicinarsi della scadenza (che brutta parola) di pagamento dell'iniquo balzello denominato IMU, è il caso di ricordare la sua vera funzione che, dal punto di vista matematico, non può essere certo quella di sanare le casse di uno Stato così sprecone.
Gli effetti reali di tassazioni in genere e di quelle selvagge come questa sono stati a loro tempo perfettamente sviscerati da Paolo Franceschetti nel suo blog.
Riporto integralmente il suo lucido articolo.


A cosa servono le tasse, e in particolare l’IMU.

Una cosa che nessuno dice mai riguardo alle tasse, è che esse non servono a far entrare denaro nelle casse dello stato, ma ad altri scopi, di cui abbiamo parlato in articoli precedenti sulla crisi finanziaria.

Voglio però soffermarmi nuovamente su questo argomento perché è fondamentale per capire il sistema in cui viviamo e gli scopi di chi ci governa.

Risulterà quindi chiaro dopo questo articolo anche a cosa serve l’IMU.

Tutte le fonti ufficiali (mass media, politici, ma anche testi di economia e di scienza delle finanze, nonché diritto tributario) sostengono che le tasse servono a far avere soldi allo stato, che verranno poi tramutati in servizi pubblici ai cittadini (strade, scuole, ospedali, ecc.).

Questo errore concettuale di fondo, ad esempio, non solo la si trova in qualsiasi manuale di diritto tributario per le università, ma anche su wikipedia alla voce “tasse”, dove non esiste neanche l’ombra di una voce contraria.

Appare quindi logico ai più, quando lo stato è in crisi, che la soluzione inevitabile (oltre a quella del taglio alle spese) sia quella di un aumento della tassazione per reperire nuovi fondi.

In realtà questa mossa non solo è sbagliata, ma produce effetti talvolta completamente opposti rispetto al risultato che – si dice a parole – vuole essere ottenuto.
Facciamo un esempio. Non c’è bisogno di un genio per capire che un aumento delle tasse del 2 per cento non produce affatto un aumento delle entrate nelle casse dello stato di pari importo. L’unico effetto che viene realmente prodotto invece è quello di una contrazione dei consumi del 2 per cento; l’aumento reale delle entrate statali, invece, si aggira attorno allo 0,01 per cento, perché va ad incidere esclusivamente sui capitali immobilizzati e non su quelli in circolazione.

Un altro esempio preciserà meglio il concetto introdotto.

Se al dipendente pubblico che guadagna 1000 euro lordi la pressione fiscale aumenta dal 30 al 33 per cento, il dipendente invece di 700 euro ne incasserà 670; tale somma è così bassa che costui sarà costretto a ridurre i consumi. Quelle 30 euro finiranno direttamente nelle tasche dello stato, e non verranno spese in consumi vari.

Ma se tali soldi fossero stati spesi in beni di consumo, sarebbero comunque finiti nelle tasche dello stato, sia pure per via indiretta; infatti sarebbero andati ad un commerciante (ad esempio al pizzaiolo) che su quelle trenta euro avrebbe pagato circa il 50 per cento di tasse (quindi 15 euro); con le rimanenti 15 euro il pizzaiolo avrebbe acquistato altri beni, su cui sarebbero state ugualmente pagate tasse, e cosi via all’infinito.

Facciamo un altro esempio. Se io spendo 1000 euro di benzina, circa 750 vanno direttamente in tasse. Le altre 250 vanno al benzinaio, che ne darà circa la metà allo stato, sempre in tasse. Con le restanti 125 il benzinaio comprerà dei beni (cibo, un motorino, libri per la scuola dei figli); questi beni saranno il guadagno di altri imprenditori che pagheranno a loro volta tasse, che compreranno a loro volta beni, in un circuito infinito.

In pratica tutto il denaro in circolazione va sempre, prima o poi, allo stato. Il modo migliore per aumentare le entrate statali, quindi, non è quello di aumentare l’IVA o le tasse, ma quello di incrementare i consumi, e colpire il mercato nero.

L’unico denaro che non finisce prima o poi nelle casse dello stato è quello che il cittadino riesce a immobilizzare e mettere da parte; quindi un aumento del prelievo fiscale sulle classi più deboli non ha alcun senso, perché non produce un aumento delle entrate statali ma unicamente un decremento dei consumi (penalizzando sia il cittadino sia l’imprenditore).

L’aumento delle tasse ha senso solo se viene applicato alle classi agiate, quelle che riescono a mettere da parte soldi in banca.

In qualunque caso, in ogni sistema fiscale degno di questo nome, esiste una fascia protetta esente da tasse, che è quella dei redditi minimi, perché è un principio ovvio che non ha senso far pagare le tasse a chi guadagna poche centinaia di euro al mese, dato che i guadagni della classi povere finiscono tutti in consumi (e quindi vanno allo stato) e non si traducono in risparmi.

Da noi, fino a qualche anno fa, erano esenti le fasce di reddito più basse. Da qualche anno invece il prelievo fiscale opera anche su chi ha redditi di poche centinaia di euro al mese, perché il reale motivo è distruggere psicologicamente il cittadino e piegarne la volontà.

Non a caso i sistemi fiscali più intelligenti (come quello canadese, bulgaro o australiano, per fare qualche esempio) non solo hanno aliquote basse (spesso l’aliquota massima è il 35) ma prevedono sgravi fiscali per chi investe; in alcuni paesi infatti l’utile delle imprese non è tassato se l’imprenditore reinveste i guadagni in ulteriori attività produttive. Il motivo è molto semplice: se l’imprenditore anziché accumulare soldi li reinveste, quei soldi andranno prima o poi allo stato.

Ad esempio, se Tizio ha guadagnato un milione di euro, darà il 30 per cento al fisco. Se invece quel milione lo investe nuovamente non viene tassato. Perché? Perché con quel milione verranno acquistati macchinari, capannoni, pagati stipendi; i macchinari faranno guadagnare imprenditori che pagheranno le tasse allo stato, i capannoni idem, gli stipendi verranno spesi dai dipendenti in beni di consumo. In sostanza, se lo stato decide di tassare quel milione di euro di utili, il risultato sarà che nelle sue casse andranno solo 300 mila euro; se quel milione non viene tassato, ma reinvestito, nelle casse statali andrà probabilmente quasi tutta la somma reinvestita.

In conclusione, in molti casi per lo stato è più conveniente non tassare piuttosto che tassare. Senza arrivare agli eccessi di paesi come Bermuda, dove non esiste tassa sul reddito, o Tonga, dove fino a qualche anno fa c’era un’imposta sul reddito del 2 per cento, ci sono esempi di sistemi fiscali che riescono a sopravvivere meglio del nostro, avendo un prelievo fiscale che si aggira attorno al 20 per cento di media; e in alcuni casi, come accade nel Wyoming, possono non esistere tasse sul reddito ma solo imposte indirette.

In Italia invece le tasse assumono connotazione che sfiorano il ridicolo; l’imposta di registro, ad esempio, che per i terreni è addirittura del 17 per cento (quindi si paga circa il 20 per cento se ci si sommano le imposte ipotecarie, catastali, e spese notarili) è un balzello immorale. Fino a qualche anno fa avevamo addirittura la tassa sugli accendini, e fino all’avvento del governo Berlusconi i commercianti di prodotti alimentari avevano addirittura una… tassa sui frigoriferi (sic!).

In altre parole, dal punto di vista fiscale fino a qualche anno fa eravamo considerati il peggiore paese del mondo, una vera barzelletta per gli stranieri. Successivamente le regole dell’Unione Europea hanno eliminato alcune tasse prive di logica, come l’IVA al 40 per cento sulle auto di lusso, ma di fondo siamo uno dei paesi peggiori del mondo da questo punto di vista.

Le tasse quindi - perlomeno quelle di un sistema demenziale come quello italiano - servono unicamente a tenere i cittadini in condizioni di sudditanza, per non permettere che questi abbiano tempo per pensare, evolvere, fare attività politica, informarsi. I cittadini devono sgobbare a testa bassa sei giorni su sette, per poi correre trafelati al supermercato il sabato sera e permettersi al massimo una domenica di svago, dove tutto potranno fare tranne che evolvere.

Il discorso vale anche per gli imprenditori, che sebbene godano di agi materiali talvolta superiori a quelli dei dipendenti, spesso lavorano febbrilmente anche la domenica pur di far funzionare i loro lussuosi imperi, complicatissimi da gestire a causa delle centinaia di balzelli, controlli, normative, pastoie, ostacoli, posti dalla burocrazia.


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Le reali funzioni dell’IMU.

A questo punto è facile capire a cosa serve la recente IMU sugli immobili posta a carico di imprese e famiglie.

Scopo del governo attuale è sfasciare l’Italia definitivamente, e questo è ben chiaro a tutti.
Ma perché proprio con l’IMU?

Il motivo è presto detto.

Occorre tenere presente che le imprese hanno margini di utili abbastanza ridotti. Un grande magazzino, ad esempio, pur avendo incassi stratosferici, di milioni di euro al giorno, ha al contempo anche costi altrettanto stratosferici (dipendenti, luce, acqua, tasse varie, a cui deve aggiungersi il costo vivo delle merce deperibile che spesso viene buttata e il costo della merce invenduta).

Un’impresa che abbia un margine di utile netto all’anno, rispetto ai capitali investiti, del 10 per cento, può essere considerata florida.

Molte aziende anche di grosse dimensioni, hanno però margini di utili netti che si aggirano attorno al 2 per cento e anche meno.

Molte imprese agricole, da qualche anno, possono dirsi fortunate se raggiungono il pareggio del bilancio.

Questo discorso era valido fino a qualche anno fa.

Da quando è iniziata la crisi economica molte imprese hanno ridotto i loro margini di guadagno, hanno iniziato a licenziare personale, a tagliare le spese, e in alcuni casi gli imprenditori hanno iniettato liquidità in aziende in passivo per tentare di stare a galla (in altre parole hanno attinto dai loro risparmi personali per risollevare il bilancio aziendale in perdita).

Molti imprenditori hanno vari immobili in affitto e vivono con le rendite immobiliari.

Ora la tipologia della media impresa italiana è questa: l’imprenditore ha una o più aziende principali e una o più aziende secondarie; negli anni ha comprato immobili (parte li tiene sfitti per la famiglia, parte li ha riaffittati); in alcuni casi ha trasferito il capannone dal vecchio stabile (che ha dato in affitto) ad uno più grande.

In questo momento di crisi la maggior parte degli imprenditori ha problemi di liquidità.

Molti affittuari non pagano più l’affitto; molti smetteranno presto di pagarlo.

In altre parole l’IMU sottrae liquidità agli imprenditori, che non potranno utilizzare tali soldi per reinvestire; e in alcuni casi, alcuni si troveranno in difficoltà perché non avranno i liquidi sufficienti per affrontare l’esborso imprevisto.
Il paradosso è che molti imprenditori dovranno pagare l’IMU su immobili da cui non percepiscono più alcun canone di locazione proprio a causa della crisi economica; oltre al danno anche la beffa quindi. Poco tempo fa un imprenditore mi diceva che doveva pagare l’IMU sull’immobile dato in locazione all’ufficio di collocamento, che però non paga l’affitto da mesi; ma il paradosso è quello di un imprenditore a cui non viene pagato l’affitto da circa un anno, per un immobile locato addirittura alla Guardia di Finanza; in compenso l’IMU per un immobile di quelle dimensioni ammonta a decine di migliaia di euro; in sostanza, il proprietario si ritrova a sborsare decine di migliaia di euro di IMU, senza avere una corrispondente entrata come guadagno.

Stesso discorso, con le dovute varianti, vale per le famiglie.

In linea generale la famiglia media italiana è proprietaria della casa in cui vive, e se ha più figli spende quasi tutto quello che guadagna in spese scolastiche, vacanze, vitto ecc.

L’IMU serve quindi ad accelerare la crisi. A sottrarre liquidità alle famiglie e alle imprese, per accelerare lo sfascio.
Quei pochi imprenditori che avevano da parte dei liquidi e riuscivano a non vivere contando sui prestiti bancari, saranno costretti a mettere mano ai loro liquidi per pagare l’IMU sui loro immobili, in questo periodo spesso improduttivi per insolvenza dell’affittuario.

Quelli che non hanno liquidi saranno costretti a vendere qualche immobile (il che significa, in un periodo di crisi, che c’è il rischio che non riescano a vendere alcunché) oppure a chiedere un ulteriore prestito alle banche, indebitandosi ancor di più.

Nelle casse dello stato entreranno probabilmente meno soldi di prima, accelerando il caos e accellerando quell’effetto domino che porterà tutta l’economia italiana al collasso totale nei prossimi mesi. Ordo ab chao.
 
 
Nota: nella vignetta tratta da Marche Rosse si accenna al pagamento della tassa in tre rate.
In realtà è stata prevista la possibilità di pagare anche in due ma molti, soprattutto i meno abbienti, credendo che fosse più conveniente, hanno preferito il maggior frazionamento.
Fregatura nella fregatura!
Chi ha pagato in tal modo ha in realtà anticipato allo Stato una maggior somma di denaro prima del saldo finale stabilito per il 17 dicembre!

giovedì 6 dicembre 2012

Auto per tutti o tutti per le auto (blu)?

Avete presente quelle anonime berline scure di cilindrata medio-alta che vi sorpassano in autostrada, spesso con un lampeggiante blu acceso sul tetto, in barba a qualsiasi limite di velocità?
Sono, come tutti sanno, le famigerate auto "blu" appartenenti o comunque destinate al Servizio di Stato.
Pare che questo servizio, solo nel nostro strano Paese, comprenda l'utilizzo di tali auto per esigenze molto poco... statali, che vanno di norma dal prelevare e riportare a domicilio amanti, familiari ed amici degli assegnatari all'accompagnare tutti alla partita di pallone.
Fin qui niente di strano: è malcostume nazionale da sempre l'utilizzo di beni e risorse pubbliche per scopi privati, quello che appare meno nella norma è l'incredibile vastità di questo allegro parco.
 

 
Tanto per dare un'idea su come si regolano altri Stati, un esempio per tutti possiamo prenderlo dagli Stati Uniti d'America che, a fronte di una popolazione di poco superiore ai 314mln di abitanti offre ai suoi politici un parco composto da 72.000 auto: in pratica il costo e la gestione di ogni vettura ricade su 4361 cittadini, come dire paragonabile all'economia di un paesino come Santa Maria di Castellabate che si permette una vettura per il suo primo cittadino.
In base a tale proporzione, nel nostro Paese che non arriva ancora a 61mln di abitanti, dovrebbero esserci meno di 14000 auto di Stato, e secondo me sarebbero ancora troppe: l'Italia non è (ancora?) uno stato confederato come gli USA e per di più abbiamo degli Enti (quasi) locali come le Province e le Regioni (per come sono attualmente concepite delimitate) che sono più dannose che inutili alla Cosa pubblica ed andrebbero per tanto eliminate (le province) o ridotte a tre (le regioni).
E invece sapete quante auto "blu" abbiamo, roba da fare invidia agli Emirati Arabi?
 
626.760
 
Come dire che i costi (superiori nel complesso a qualsiasi manovra finanziaria finora messa in atto) relativi ad acquisto e manutenzione per ognuna di esse e per lo stipendio di relativo autista, sono sorretti da appena 97 cittadini italiani.
Facendo due conti, presupponendo che ogni vettura con autista costi tra acquisto, manutenzione e stipendio circa 50.000€ all'anno (presupponendone la sostituzione ogni 4 anni ed un costo d'acquisto limitatato a 50.000€, che è poco) ognuno di noi si sobbarca un esborso contributivo (aggiuntivo) che assomma a circa 500€ all'anno, a fronte dei 10$ circa che "spende" un cittadino statunitense.
 
 
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domenica 2 dicembre 2012

La corsia del disonore

Appena rientrato da una scorribanda giornaliera di cui circa 7h trascorse alla guida in autostrada, ho deciso di riprendere le pubblicazioni su questo blog riportando un mio articolo già pubblicato sul sito e riguardante la cattiva abitudine di molti utenti autostradali di snobbare la corsia di marcia più a destra anche quando è del tutto sgombra, causando di conseguenza un immotivato ingolfamento della viabilità.
Buona lettura.
 

Il sorpasso a destra come figura retorica
 
Trovandomi spesso a viaggiare in autostrade a tre corsie per senso di marcia, mi trovo a constatare mio malgrado che, a parte la totalità dei camionisti "over 35q.li" (almeno di quelli italiani), ben pochi altri utenti usano correttamente o sanno come va usata la sede stradale.
Eppure l'articolo 143 del Codice della Strada parla chiaro, imponendo a tutti gli utenti più o meno veloci, più o meno "dotati" in termini di massa complessiva, di utilizzare la corsia libera più a destra prevedendo una sanzione attualmente fino a 155€ accompagnata da una decurtazione di 4 punti dalla patente.
Da notare che in origine, prima del proliferare delle strade a più di una corsia per senso di marcia, l'articolo prevedeva l'obbligo di tenere addirittura il margine destro della corsia a disposizione, non solo della carreggiata.
Ma anche utilizzando il semplice buon senso, che dovrebbe prescindere dalle imposizioni di legge, è chiaro che l'inosservanza di tale norma può portare solo ad un pericoloso caos che per di più rallenta il flusso del traffico, trasformando la corsia di centro in una corsia di "marcia normale" per veicoli leggeri anche quando la corsia di destra è libera: in tal modo, e questo si verifica soprattutto durante i week-end quando il traffico pesante è fortemente ridotto, si creano delle congestioni nelle due corsie di sinistra nonostante quella di destra sia praticamente libera. In tali casi, si può assistere ai comportamenti più disparati:
  • c'è chi - e sembra si tratti della maggioranza - si piazza irremovibile nella corsia di centro e pretende di marciare a velocità significativamente inferiori a quelle massime concesse e soprattutto a quelle MEDIE DEL FLUSSO VEICOLARE, costituendo un intralcio per chi ha tutto il diritto di marciare a velocità superiori e soprattutto di trovare le corsie di sinistra libere (almeno ogni tanto...) per il sorpasso. Tra questi, molti sembrano procedere in uno stato di tipo ipnotico, certamente favorito dalla marcia disimpegnata a velocità costante, da cui alcuni sembrano risvegliarsi incazzati e strombazzanti quando si vedono sopravanzati dal lato destro, e non se ne comprende il motivo. Da notare che molti incidenti sono originati dalla differenza di velocità che esiste tra veicoli che percorrono lo stesso senso di marcia: non a caso, in Paesi come gli USA, forse più esperti di noi sotto l'aspetto della gestione del traffico, vengono multati anche gli automobilisti troppo lenti, rei - giustamente - non solo di rallentare il potenziale di drenaggio della strada ma anche di aumentarne il rischio di percorrenza.
  • altri subiscono la sindrome del gregge in cui, nel caos in cui si trovano, si sentono autorizzati a violare le norme del Codice solo perché attorno a loro lo fanno tutti e non vogliono sentirsi "più scemi" degli altri. Tali elementi non usano MAI l'indicatore di direzione per cambiare corsia e per avanzare s'infilano praticamente senza precauzioni in ogni spazio disponibile.
  • altri ancora pretendono di dettare la legge del più forte, anzi del più potente in termini di cavalli motore, a suon di lampeggi, strombazzate e staccatone [per chi non è del mestiere: "frenate violente eseguite all'ultimo momento" - N.d.R.] sulla corsia di estrema sinistra che imboccano non appena entrati in autostrada ed abbandonano solo per uscirne: questi "estremisti di sinistra" risultano perfino più fastidiosi - anche se non altrettanto pericolosi - degli stacanovisti della corsia centrale, che forse considerano quella di destra come la corsia del disonore.
In tutto questo c'è anche chi, come me, rispettoso del Codice ma anche del buon senso che dovrebbe governare tutte le vicende umane, cerca di procedere sulla corsia più libera a destra nei limiti di velocità imposti dal Codice. E se marciando a 130Km/h sulla corsia di destra si finisce per sopravanzare qualcuno, questo non può essere certo considerato "sorpasso a destra" ma tutt'al più e più razionalmente "retrocessione a sinistra", peraltro non sanzionata né prevista dal Codice Stradale... .
Da questo ne deriva che il sorpasso a destra come violazione non può esistere a sé stante ma risulta conseguenza diretta della violazione del citato articolo 143: del resto anche la semplice logica suggerisce che non può esistere nessun sorpasso a destra se chi precede non lascia sufficiente spazio alla sua destra. Non essendo configurabile quindi come violazione del Codice, non rimane che considerarlo come una figura retorica da utilizzare più per descrivere quello che accade in pista che quello che può verificarsi su strada.