giovedì 6 febbraio 2014

La FCA non è quello che pensate ma è la nuova FIAT anglosassone


A completamento dell'articolo precedente, in cui stigmatizzavo un consistente investimento oltre oceano da parte del gruppo FIAT, ecco che non solo i capitali del gruppo lasciano il Paese ma il gruppo stesso, trasferendo baracca e burattini all'estero!
La notizia non è di quelle da prima pagina in Italia, in cui i media di regime preferiscono occuparsi di calcio, della vita privata dei politici, di corna&pettegolezzi vari pur di evitare di focalizzare l'attenzione degli ascoltatori su degli argomenti significativi, ma non è passata inosservata da parte di un media svizzero d'informazione finanziaria da cui è stata tratta.

Per quanto riguarda la fuga di capitali, citata in apertura dell'articolo, c'è da ricordare come la FIAT abbia da sempre beneficiato a piene mani di denaro pubblico ad essa elargito a fondo perduto con la scusa della preservazione dei posti di lavoro; ciò ogni qualvolta annunciava di essere in crisi. Tutto questo, attraverso la connivenza dei sindacati ed ovviamente di tutte le forze politiche, in particolar modo quelle di sinistra che istituzionalmente si sono sempre arrogate il diritto di difendere i lavoratori (ma solo i dipendenti, non certo gli imprenditori: tanto per essi il lavoro nasce sotto i cavoli). Per cui, è bene ricordarsi che buona parte di quei capitali provengono dalle nostre tasche.
 
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Fuga di capitali, fuga di cervelli e, adesso, fuga delle aziende. Il Belpaese sembra soffrire di un’inarrestabile emorragia che a lungo andare le costerà cara.
 
Mentre il Governo Letta sta cercando, ricalcando il passato in chiave più stringente, di riportare liquidità in Italia punendo gli evasori con la voluntary disclosure, la prima azienda italiana cosa fa? Scappa all’estero per beneficiare di un regime fiscale più vantaggioso.
 

La Fiat, la storica casa automobilistica torinese legata alla famiglia Agnelli, fa fagotto e se ne va: sede legale ad Amsterdam e, probabilmente, residenza fiscale in Gran Bretagna. Il motivo è molto semplice: l’Italia non è più attrattiva. Meglio Londra che dal 2010 ha attuato una riforma per attirare gli investimenti dall’estero e invitare le multinazionali alla “delocalizzazione”. E a quanto pare funziona.

Il modello britannico alletta perché il sistema di imposizione dei redditi esteri è più snello e meno oneroso, un po’ come quello svizzero. Inoltre il Regno Unito ha creato convenzioni internazionali vantaggiose con costi sui interessi e dividendi inferiori. Persino le tasse sui dividenti degli investitori sarebbero meno care di quelle italiane. Da un trasloco oltremanica i manager italiani non possono che guadagnarci, contando bonus più sostanziosi e incentivi migliori.
 
Così, dopo 115 anni al Lingotto, senza troppi fronzoli, il Ceo del Gruppo, Sergio Marchionne, ha annunciato la partenza di Fiat che, per chiudere completamente un’era, cambia anche logo e nome. Fiat Chrysler Automobiles, abbreviato Fca: questa la nuova identità di un’azienda che di italiano, ormai, avrà solo i natali.
 
Il presidente John Elkann, nipote di Giovanni Agnelli, non ha potuto mostrarsi che entusiasta, definendo la FCA “...l’inizio di un nuovo capitolo della nostra storia che permetterà di affrontare il futuro con rinnovata motivazione ed energia”.

Il board di Fiat, anzi di Fiat Chrysler Automobiles, ha assicurato che in Italia non cambierà nulla e che tutti i posti di lavoro verranno mantenuti. Per chetare gli animi di quelli che piangono nel vedere una pietra miliare del Paese andarsene, il sindaco di Torino, Piero Fassino ha voluto sottolineare che "Torino e l'Italia continuino a essere l'headquarter europeo del gruppo".

Una magra consolazione per un’Italia dove l’industria si sta praticamente dissolvendo. E se Fiat deve dare l’esempio…
 
 
integralmente tratto da ECplanet, ripreso da ticinofinanza.ch
 
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