mercoledì 20 aprile 2016

Come cambiare senza far nulla

Sicuramente, la vita di ognuno di noi si sarà svolta e si svolge lungo una determinata linea segnata dalla nostra indole, dal contesto in cui ci troviamo e dalle informazioni che continuamente acquisiamo, a prescindere dalla loro veridicità.
Nel tempo, l'idea che ci facciamo della realtà potrà cambiare poco oppure ribaltarsi completamente a seconda della nostra apertura mentale e, ancora una volta, a seconda delle cose che veniamo a sapere.
Caso per caso, atteggiamenti negativi o positivi, progressisti o conservativi come ipocrisia, umiltà, onestà intellettuale, presunzione, spirito di
contraddizione, fede o ricerca della verità, potranno influire e condizionare la nostra evoluzione che potrà quindi procedere in una sola direzione, essendo il bene ed il male concetti del tutto relativi.
Nonostante queste variabili, la nostra essenza - il modo con cui ci approcciamo al mondo - conserverà una traccia riconoscibile agli altri che potrà essere definita come il nostro "carattere" o l'impronta personale distintiva della nostra unicità.
Pur tuttavia, molte delle persone con le quali interagiamo non mancheranno di classificarci, secondo la loro personale scala di valori, come appartenenti ad una determinata categoria e molto facilmente, nonostante la nostra crescita e la possibilità che negli anni abbiamo cambiato radicalmente atteggiamento, ai loro occhi rimarremo per sempre etichettati come facenti parte del gruppo al quale LORO ci hanno assegnato.

La categorizzazione del prossimo, che può sfociare nell'ancor peggiore generalizzazione, è uno degli atteggiamenti più disgreganti della società, quello che ritiene la provenienza e l'inquadramento sociale più importanti degli effettivi comportamenti e delle idee portate avanti. Quello che permette la creazione di barriere cognitive e di un nemico comune contro cui combattere, anche se questo nemico è frutto della distorsione con la quale percepiamo la realtà e anche se di "comune" con i nostri compagni di... inquadramento abbiamo poco o nulla.

Così, anche se nella vita siamo stati il più possibile "noi stessi" lottando strenuamente la difficile (impossibile per la maggior parte di noi) battaglia contro le influenze esterne, ci ritroviamo comunque categorizzati dal nostro prossimo, magari in caselle diametralmente opposte a seconda del suo grado evolutivo e culturale e dall'ottica attraverso cui ci osserva.
A tutti quelli che, come me, nella vita si sono trovati a frequentare gli ambienti e le compagnie più disparate, sarà capitato di ritrovarsi collocato in una categoria alla quale non avremmo mai pensato di appartenere.
I parametri principali di cui si tiene automaticamente conto (non è un processo analitico) per una categorizzazione del prossimo sono relativi di solito alla prima impressione che si provoca negli altri, a ciò che si dice ed a ciò che si fa in tale occasione. Ma influscono anche le nostre scelte consumistiche, i nostri gusti ed il nostro atteggiamento sociale che man mano risulteranno evidenti a chi ci analizza.

Pensate solo a quanto sia difficile categorizzare una persona conoscendola per la prima volta nel corso di una cerimonia in cui almeno gli uomini sono vestiti in maniera grossolanamente identica. Ancor peggio se in un contesto militare.
L'individuo appare del tutto spersonalizzato ed omologato almeno fino a che non si ha la possibilità di osservare come si muove, come parla e come interagisce col prossimo. La mente di quelli che sentono il disperato bisogno di collocare in una casella il prossimo cercherà di acquisire tutti i dati possibili, giungendo - nei casi più disperati - a chiedere informazioni su di voi o a farvi un interrogatorio formale non appena con qualche scusa vi si sarà avvicinato o fatto presentare da una conoscenza in comune.
L'impressione che si farà di voi in quella situazione rimarrà nella sua mente per sempre e sarà molto difficile per lui rivederla e correggerla, se non con un certo disappunto.
A questo modo ricordo, nello scorso cinquantennio, di essere stato classificato come delinquente o persona integerrima, simpatico o antipatico, fascista o comunista, ateo o credente, iperattivo o riflessivo, donnaiolo o asessuato, padrone o garzone, ricco o povero, idiota o complottista... insomma agli estremi opposti di quasi tutte le principali categorie in cui si pretende di collocare il prossimo. Ovviamente non mi riconosco in nessuno di questi estremi ma vallo a spiegare a quelli che dividono tutto in due categorie.
Del resto, come sosteneva Arthur Bloch, esistono solo due categorie di persone: quelli che dividono tutto in due categorie e quelli che non lo fanno.

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Più seriamente, ho l'impressione che questo bisogno irrefrenabile di trovare una collocazione per sé stessi e per gli altri in un gruppo identificabile ed accomunato da... non si sa quali parametri, denunci una scarsa coscienza di sé con la conseguente necessità d'identificarsi in un gruppo senza il quale si ritiene di rimanere privi di un'identità, dimenticandosi che ogni essere umano, pur nelle somiglianze che lo accomunano agli altri, è unico ed irripetibile, soprattutto quando sfugge a qualsiasi classificazione.