Fino agli anni '70, le Case produttrici di auto e motoveicoli riuscivano con relativa facilità a proporre modelli del tutto originali, nettamente distinguibili da quelli prodotti dalla concorrenza anzi in taluni casi talmente diversi da porsi su di un piano diverso rispetto a qualsiasi concorrenza. Degli esempi eclatanti in campo automobilistico furono rapprese
Renault R4 - 1961-1993 |
Nel caso delle prime due auto citate - che differivano tra loro solo nella carrozzeria (la prima che conservava le originali forme retrò, la seconda più modernista) ma dotate della stessa meccanica, esse si ponevano a tutti gli effetti in una tale collocazione sul mercato da non avere praticamente una concorrenza. Si trattava di auto mosse da motori di cilindrata estremamente ridotta (poco più di 400 e 600cc) derivanti entrambe dal primigenio progetto della 2CV che risaliva addirittura agli anni '30.
Due cilindri boxer raffreddati ad aria andavano a costituire un motore leggero ed essenziale, molto versatile ed utilizzato perfino nella costruzione artigianale di aerei ultraleggeri. Anni fa, in Corsica, ebbi modo di guidare un efficace e divertente kart-cross mosso da un motore del genere.
Negli anni '70, la trazione anteriore era ancora una scelta originale, adottata quasi esclusivamente in Francia, in particolare dall'industria di Stato Renault ed infatti un paio di suoi modelli costituivano le uniche vere alternative alle piccole Citröen: la R4 e la R6, dotate però di motori ben più prestanti, da 850 e 1100cc, raffreddati a liquido e quindi nel loro complesso risultavano meno originali delle prime anche se forse più pratiche e robuste.
Ma se i contadini francesi preferivano la Renault 4 in base a considerazioni razionali, gli studenti "impegnati" di città preferivano viaggiare sul simbolo della contestazione che in Francia era rappresentato dalla 2CV.
Strano che nel resto del mondo, soprattutto quello anglossassone sia europeo che americano, la vettura scelta dai contestatori fosse la Volkswagen "maggiolino" dotata di una meccanica diametralmente opposta alle concorrenti francesi e basata su di una filosofia costruttiva improntata sulla robustezza invece che sulla flessibilità: questa osservazione meriterebbe un'analisi socio-psicologica a parte...
Come per le nostre coeve FIAT 500, anche le le piccole Citröen, erano dotate di tetto in tela apribile non per lusso ma per compensare la pessima areazione interna. A differenza della piccola trappola italiana, non disponevano neanche di vetri discendenti né di deflettori (vero è che sulla 500, prima o poi si rompessero sia i deflettori - si scollavano i supporti metallici dal vetro - che i meccanismi di movimento dei vetri) parzialmente compensati dalla possibilità di ribaltare verso l'alto la metà dei finestrini anteriori.
Citröen DS - 1955-1975 |
Per la DS non ci sono descrizioni che tengano: si trattava di un'auto veramente unica nel suo genere che veniva acquistata con presupposti sia estetici che razionali impossibili da ritrovare in modelli della concorrrenza.
Forse l'unica vera alternativa all'originalissima vettura francese, al tempo fu costituita dalla Saab 99 accomunabile alla prima per la trazione anteriore ma con un progetto maggiormente impostato su di una robustezza tipicamente "nordica" e sull'affidabilità nonché sullo spazio interno soprattutto per quanto riguarda il vano bagagli estensibile all'abitacolo che andava così a costituire un volume degno di una station wagon.
Le DS furono proposte in diverse esecuzioni fuori serie ma alla fine fu solo la berlina a 4 porte a popolare in maniera significativa le strade europee mentre le 99 furono proposte solo in due versioni, a 3 e 4 porte (la prima un pò più "coupé", l'altra un pò più "berlina" ma in fondo non dissimili) che si spartirono più o meno equamente il mercato. Entrambe le Case derivarono dai loro rispettivi modelli delle distintissime ed eleganti versioni cabriolet oggi entrambe molto quotate.
Le DS furono equipaggiate con motori da 1900 a 2300cc e tra i primi al mondo ad essere dotati di alimentazione ad iniezione mentre le 99 si avvalsero esclusivamente di motori da 2000cc ma allestiti anche nella prestante versione turbo.
Citröen GS - 1970 -1986 |
La GS e le più piccole Ami 6 ed 8, erano vetture originali nell'impostazione, non meno degli altri modelli della stessa Casa ma, pur distinguendosi dalla concorrenza, sul mercato dovevano vedersela con modelli di altre Case in grado di offrire prestazioni e versatilità funzionale di livello pari o superiore.
Moto Morini 31/2 Sport - 1974 |
Nell'omologazione - anche stilistica - che viviamo oggi, tali differenze riscontrabili in veicoli parimenti omologati per la circolazione sembrano assurde ma nel settore motociclistico la situazione era ancora più variegata!
Prima che i giapponesi imponessero su scala planetaria il loro standard, se non altro per una questione di numeri produttivi, era normale per noi motociclisti salire e scendere da moto che presentavano una disposizione diversa dei comandi a pedale. La scuola progettuale italiana e quella inglese allora ancora in auge, prevedevano infatti i comandi cambio e freno invertiti rispetto alla norma odierna. Per di più, non ci si era ancora messi d'accordo neanche sul verso d'inserimento delle marce per cui, oltre alla configurazione universalmente in uso oggi, ci si poteva imbattere in moto di scula europea che prevedevano sì il cambio a destra ma con la prima verso il basso (tutte le Moto Morini dell'epoca) mentre tutti gli altri di pari scuola la prevedevano verso l'alto come si è sempre usato per le moto da pista. Ma c'erano anche moto giapponesi che, pur avendo il comando cambio a sinistra e le marce da snocciolare verso l'alto, prevedevano la posizione di folle a inizio scala dove normalmente ci si aspetta di trovare la prima! Era il caso delle Kawasaki a due tempi della serie H1/2 e Mach I-II-II- IV.
Kawasaki 750 H2 - 1971-1975 |
Per complicarci la vita, quando procedevamo ad una trasformazione sportiva della propria moto, molto spesso si realizzavano dei comandi arretrati e rialzati senza ricorrere a rinvii ma semplicemente ribaltando all'indietro il fissaggio della leva del cambio (oppure segando il bilanciere anteriore, ove presente): questo comportava il ritrovarsi un cambio il cui inserimento delle marce risultava al contrario di come ci eravamo abituati fino ad allora. Ma questo non costituiva un problema per nessuno anche se, ricordo bene, c'era ancora qualcuno, allora, che non comprava le moto giapponesi perché sosteneva di non riuscire ad abituarsi ai comandi a pedale "invertiti".