giovedì 21 luglio 2016

Tutta cromata, 10HP - Honda CB 750 Four


Nel 1969 accaddero due fatti che caratterizzarono un'epoca, almeno in Italia: la Honda immise sul mercato la sua CB750 e Lucio Battisti presentò la nuova canzone "Il Tempo di Morire".
Da allora, perfino in ambiente motoristico, si protrae un equivoco sul significato dell'attributo "dieci acca pì" alla parola "Motocicletta" che apre il testo della canzone.
Questo, nonostante nessuno in Italia si riferisse mai alla potenza motore utilizzando la grandezza inglese "Horse Power", nonostante già all'epoca 10cv di potenza del motore erano pochi in assoluto ed alla portata di un qualsiasi 125 e nonostante nessuna moto leggera dell'epoca fosse definibile "tutta cromata"...!


In realtà, l'attributo "10HP" non era, come molti pensano, una licenza poetica del paroliere Mogol ma un'indicazione ben precisa sulla cilindrata della moto in oggetto, in riferimento ai suoi Cavalli Fiscali.
E se andiamo a vedere, tale valore era assegnato a veicoli dotati di motori compresi tra i 669,1 ed i 774cc ovvero, in pratica, a tutte le moto da 750cc.
E qual'era l'unica 750 dell'epoca anzi uscita proprio nel '69, a potersi definire "tutta cromata"?
Senza dubbio, l'autore dei testi si riferiva alla Honda CB 750 Four, una moto che fece epoca in quanto la prima 4 cilindri di categoria così raffinata ed affidabile e concepita per un uso disimpegnato, utilitario e cittadino nonostante fosse capace di discrete prestazioni, grazie ai suoi 68HP... pardon: cavalli!

Spopolò tra tutti coloro che: 1) potevano permettersela; 2) collocavano in secondo piano le sue deficienze ciclistiche sotto l'aspetto dinamico ed ergonomico.
4-in-1, 1 posto e mezzo...
Queste deficienze erano mitigate, dai motociclisti più esigenti, ricorrendo alla sostituzione degli ammortizzatori posteriori con altri di qualità (in genere i classici Koni oppure gli italiani Marzocchi), montando un manubrio a due pezzi (classico il Tommaselli) accoppiato a pedane correttamente arretrate, sostituendo il pretenzioso ma ingombrante impianto di scarico 4-in-4 con un più leggero e performante 4-in-1 (elettivamente di marca Marving), eliminando il cavalletto centrale la cui leva poteva strisciare a terra nelle curve a sinistra e completando l'opera montando una sella "un posto e mezzo" che pur permettendo ancora di caricare una passeggera, era più corta dell'originale e dotata di un codino formato dalla stessa imbottitura, un vero must degli anni '70.
Così modificata, la preziosa giapponese poteva confrontarsi ad armi quasi pari con le più blasonate moto sportive inglesi ed italiane della sua epoca, tanto da poter ottenere discreti risultati nelle gare per derivate di serie. 

   Alessandro Momo  
Tutti si ricordano la pericolosità delle Kawasaki Mach ma anche altre moto giapponesi fecero qualche vittima, spesso a causa della bizzarria delle loro ciclistiche. Tra quelle eccellenti a carico della 750Four, ci fu Alessandro Momo che si era guadagnato al momento una grande notorietà col film "Malizia".
La moto con cui ebbe l'incidente non era nemmeno sua ma appartenente alla sua collega Eleonora Giorgi che, di conseguenza, fu indagata per incauto affidamento essendo l'attore romano ancora minorenne.

Ricordo ancora la foto pubblicata in occasione del triste evento dalla quale si poteva apprezzare la modifica del freno anteriore a doppio disco effettuata di norma dai motociclisti più esigenti perché col solo disco singolo originale, la moto non godeva di una frenata esattamente eccellente...